Quando l’azienda a causa di una crisi che sta attraversando smette di pagare gli stipendi ai propri dipendenti come comportarsi?
Rivolgersi ad un legale affinché rediga una lettera; contattare, mediante i sindacati, il datore di lavoro; parlare con i colleghi ovvero con il superiore; fare una causa, un decreto ingiuntivo o un’istanza di fallimento?
ESEMPIO
Il lavoratore chiede all’azienda gli stipendi arretrati. L’azienda non ha i soldi per far fronte allora, il dipendente, decide di azionare una vertenza legale.
Le parti si incontrano per trovare un accordo: l'azienda offre al lavoratore il pagamento dell’80% dell'ammontare in rate mensili, dilazionate in due anni rinunciando a recuperare il 20% di ciò a cui ha diritto..
A questo punto il lavoratore può scegliere se accettare o fare rifiutare.
- Nel caso di accettazione: le parti andranno alla Direzione Provinciale del Lavoro, firmeranno l’intesa che rappresenterà titolo esecutivo. Pertanto, se l'azienda non dovesse rispettare gli impegni, il lavoratore mediante il documento sottoscritto potrà agire direttamente attraverso un processo esecutivo.
- Nel caso di rifiuto: il lavoratore dovrà rivolgersi ad un avvocato che quasi certamente presenterà un decreto ingiuntivo. Affinché lo stesso diventi esecutivo occorrerà attendere circa 4 mesi.
L’azienda molto probabilmente deciderà di fare opposizione al decreto ingiuntivo. Si tratta di un’opposizione formulata su motivi pretestuosi, al solo fine di prendere tempo e contrastare l’efficacia dei decreti ingiuntivi (qualora non siano provvisoriamente esecutivi).
L’intero giudizio si svolgerà nell'arco di circa tre/quattro anni (per il primo grado).
È verosimile che il lavoratore vinca la causa. A questo punto, nella remota ipotesi che l’azienda paghi il dipendente a seguito della sentenza, il lavoratore avrà ottenuto il pagamento del 100%, dopo 4 anni con il dovere di saldare l'onorario dell'avvocato.
Più probabile è l'ipotesi che l’azienda non paghi neppure a seguito della sentenza. In tale ipotesi si manifesta la necessità di agire in esecuzione forzata. Fattispecie senza alcun margine di certezza, soprattutto qualora ci si scontri con un’impresa S.r.l. o una S.p.a., in cui è possibile rivalersi unicamente sulla disponibilità del capitale sociale.
Qualora a seguito dell'esecuzione forzata il lavoratore, restasse insoddisfatto, potrà procedere con l’istanza di fallimento. Superando le lungaggini delle procedure concorsuali, il lavoratore potrebbe comunque non vedersi soddisfatti i propri crediti perché l’azienda non dispone di un patrimonio sufficiente.
L’unica garanzia che resta è legata Fondo di solidarietà dell’INPS che erogherà le ultime tre mensilità non corrisposte e del TFR.
In conclusione: esaminando le due possibilità di accettazione o rifiuto, i lavoratori, nella prima ipotesi, hanno ottenuto nel giro di due anni solo l’80% delle somme cui avevano diritto; nella seconda ipotesi, invece, non hanno ottenuto nulla.
Quello appena descritto è un mero esempio semplificativo, nella realtà occorrerà esaminare il caso specifico al fine di scegliere la strategia adeguata affinché il lavoratore si veda riconosciuta la massima soddisfazione.
Le strade percorribili possono essere le seguenti:
- diffida scritta al datore di lavoro (redatta da un avvocato o consulente del lavoro);
- tentativo di conciliazione facoltativo presso la Direzione Provinciale del Lavoro;
- intentare una causa (come ipotizzato innanzi)